Degasperi “temporeggiatore silente” nella stagione della politica urlata

Il 2 giugno 1946, gli elettori furono chiamati anche a scegliere tra Monarchia e Repubblica. La notizia sulle pagine di Vita Trentina

Il 2 giugno, abbiamo ricordato il giorno – settantanove anni fa – in cui l’Italia, dopo aver chiuso le pagine buie e tragiche del regime fascista, inaugurava la nuova stagione della democrazia. Il suffragio universale (per la prima volta il diritto di voto era stato riconosciuto anche alle donne) dava senso e significato a quanto i costituenti (eletti proprio quel giorno) avrebbero poi definito nell’articolo 1 della nostra Carta: “la sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”. Il 2 giugno 1946, gli elettori furono chiamati anche a scegliere tra Monarchia e Repubblica. Tutti sappiamo come è finita, con un’affluenza al voto ben superiore all’ottanta per cento. La Repubblica prevalse (54.27 per cento) con quasi due milioni di voti di scarto in un’Italia spaccata in due: il nord con una chiara indicazione a favore del sistema repubblicano, il sud con una prevalenza a sostegno della monarchia.

Siamo talmente abituati ad avere i risultati in “diretta” (un minuto dopo la chiusura dei seggi, gli exit poll, oggi, ci dicono chi ha vinto e chi ha perso), che la storia di quello scrutinio e di ciò che avvenne nei giorni seguenti ci appare incomprensibile. Ci fa però capire cosa vuol dire “avere il senso delle istituzioni” e ci conferma la grandezza – politica e morale – di alcuni protagonisti di quella vicenda. A cominciare da Alcide Degasperi.

Ciò che è successo in quelle lunghissime giornate – una decina, dalla chiusura delle urne alla partenza di Umberto (il 13 giugno) – ci dimostra che la storia è costruita anche dall’atteggiamento delle persone, dalla loro capacità di capire i tempi, di scegliere come e quando agire. “C’è un tempo per tacere e un tempo per parlare”, ci ricorda l’Ecclesiaste in una pagina della Bibbia dove il punto di partenza è che “per ogni cosa c’è il suo momento, il suo tempo”. Quel testo – conosciuto anche come “Qoelet”, presumibilmente scritto alla fine del III secolo a.C. – andrebbe regalato alla classe politica dei nostri giorni, tutta presa dalla frenesia dei social network, di una comunicazione fondata sul “qui e ora”, tanto tra pochi minuti tutto sarà dimenticato: i politici non decidono, ma annunciano; non dialogano, ma declamano con i post; non aspettano, ma cercano di arrivare per primi; non spiegano il particolare, ma esaltano ciò che appare; non conta ciò che si dice, ma solo ciò che viene raccontato; non si lavora su ciò che può essere utile, ma si enfatizza ciò che è più conveniente; non si ricerca ciò che potrebbe unire, ma si declama solo ciò che piace ai propri tifosi.

In quell’inizio giugno del 1946, Alcide Degasperi, presidente del Consiglio di un’Italia in ginocchio, si trovò a gestire un risultato elettorale che tardava ad arrivare e che per lunghissimi giorni non venne ufficializzato. Tutto ruotava su quello che oggi – nell’epoca della semplificazione e della comunicazione spiccia – verrebbe liquidato come “fastidioso tecnicismo”: i voti per la Repubblica erano ben superiori a quelli della Monarchia, ma bisognava verificare se erano anche la maggioranza assoluta dei votanti (tenuto conto, dunque, anche delle schede bianche e nulle). Il 10 giugno, la Corte di Cassazione annunciò la vittoria repubblicana, ma non in termini definitivi. Per quelli si sarebbe dovuto attendere ancora una settimana, il 18 giugno.

Da una parte, c’era chi chiedeva a Degasperi di prendere il toro per le corna, trasferendo al Capo del Governo i poteri del Re. Dall’altra c’erano i sostenitori della Monarchia (appoggiati da una buona parte degli apparati dello Stato) che rivendicavano il diritto di attendere i risultati definitivi. Con il rischio che il Sovrano, nella pienezza dei suoi poteri, potesse revocare la fiducia al governo e nominarne un altro più accomodante nei confronti di Casa Savoia. Un confronto sempre sul filo, con la necessità di tenere la barra dritta e il sangue freddo: una mossa sbagliata avrebbe portato ad effetti devastanti per la giovane e fragile democrazia italiana.

In quei giorni e in quelle lunghe notti di riunioni e trattative riservate, scrivono gli storici (Piero Craveri, “De Gasperi”, edizioni il Mulino) la grandezza di Degasperi fu quella di “assumere la parte del temporeggiatore, per cui il silenzio è d’obbligo, virtù politica che aveva in massimo grado, assieme a quella di essere coerente fino in fondo, quando prendeva una decisione”. L’esatto opposto dello stile della politica dei nostri giorni.

Alla fine, come sappiamo, Umberto lasciò l’Italia il 13 giugno. Poche ore prima, nel cuore della notte, il Governo aveva votato un ordine del giorno in cui non si proclamava ancora la Repubblica, ma veniva stabilito che “in via transitoria” le funzioni di capo dello Stato venivano attribuite “ope legis” al presidente del Consiglio in carica. Una mossa che, nella difficile partita sulla scacchiera istituzionale, portò – mai termine può risultare più azzeccato – allo “scacco al Re”.

Nella stagione delle trattative di governo trasmesse via streaming, dei conflitti istituzionali alimentati via social, delle semplificazioni che banalizzano la politica, quella formula – che assicurava una via d’uscita, ma non accontentava le curve dei tifosi – sarebbe contestata dal pubblico della rete che tutto vuol sapere, magari senza capire. In un drammatico colloquio con il Re, Degasperi mise le cose in chiaro: “A me non importa nulla, posso sparire domani stesso dalla scena politica. Ho solo due cose a cuore: l’unità morale e l’unità territoriale dell’Italia. Sono entrambe in pericolo. Non faccia un passo falso. Non rovini la sua reputazione”. Un colloquio riservato. Non certo un tweet o un messaggio video per i social registrato con il telefonino a Palazzo Chigi. (81.)

vitaTrentina

Got Something To Say?

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *


Il periodo di verifica reCAPTCHA è scaduto. Ricaricare la pagina.

vitaTrentina