Cari politici, parlatevi: ne guadagna il bene comune

La prima pagina del quotidiano “La Stampa” di martedì 29 aprile

Colpisce che in un momento tanto delicato come quello attuale la politica italiana sia ridotta ad uno scontro di tifoserie, senza che i partiti riescano in qualche modo a riportarla alla ragionevolezza rimanendo condizionati dalle rispettive “curve”.

Ormai ogni tema è ridotto ad un pretesto per riproporre le maschere stantie degli scontri da talk show. Pensate a cosa è successo in occasione del 25 aprile: dal campo della maggioranza governativa iniziative ridicole, tipo inquisire chi metteva cartelli sull’antifascismo, vietare canti partigiani, o farne correggere le parole, impedire manifestazioni, dal campo opposto le consuete litanie sull’obbligo di dichiararsi antifascisti, sul pericolo del ritorno alla dittatura, sulla necessità di fare “nuova resistenza”. Il tutto senza che i vertici dei partiti siano stati capaci, né a destra, né a sinistra di richiamare all’ordine gli scalmanati e gli idioti.

Qualcosa di simile è accaduto nel contesto dei funerali di papa Francesco. Anziché compiacersi sobriamente del buon successo nella gestione di un evento assai complicato, prendendo atto che il nostro sistema amministrativo ha buone capacità di tenuta nelle emergenze, è stato tutto concentrato su uno sterile dibattito riguardo al ruolo di Giorgia Meloni nelle vicende diplomatiche di contorno: di nuovo con gli uni che la presentavano come una specie di motore di ogni cosa e con gli altri che la dipingevano come una statuina insignificante in un presepio artificiale.

In questo momento ci sarebbe necessità di una politica dove componenti diverse sapessero confrontarsi e non indulgessero a fare semplicemente a cornate. Paradossalmente il contesto dello scontro verbale continuo favorisce il governo, o almeno quelle sue componenti che sanno fare il loro lavoro (i ministri da avanspettacolo fanno solo confusione). Le opposizioni dovrebbero capirlo e cambiare registro, sostituendo quei politici che sono capi delle curve di tifosi e affidandosi a chi è in grado di costruire proposte alternative in grado di costringere il governo a confrontarsi con esse.

Il primo terreno da liberare dalle fanfaronate della retorica è la politica estera. La situazione è sempre più complicata, non si riesce a venire a capo del contenimento della volontà imperialista della Russia di Putin, la situazione a Gaza peggiora per la dissennata volontà del governo israeliano di annientare la vita nella striscia e per l’invincibile estremismo di Hamas e sodali che vogliono uscire semidistrutti, ma in qualche misura vittoriosi (a spese del loro popolo martoriato). Il quadro europeo è piuttosto teso, con contrapposizioni interne fra i principali Stati: non c’è solo la volontà di Macron di riconquistare un ruolo storico prima della fine della sua presidenza, si aggiunge l’entrata in campo della Germania che ha chiesto il via libera europeo ad un indebitamento massiccio, e la posizione in crescita della Polonia come leader del contenimento anti russo.
Baloccarsi in un contesto del genere con il finto dilemma fra utopie pacifiste ed utopie su un esercito comune europeo che, ben che vada, non potrebbe vedere la luce prima di due o tre anni è veramente irresponsabile.

Garantire un ruolo all’Italia nella riorganizzazione del mondo che si sta delineando è un obiettivo importante che va oltre l’interesse di chi governa in questo momento. Meloni lo ha compreso, anche se è nella natura delle cose umane che voglia assumersene da sola i meriti. Ciò in cui tutto il sistema delle classi dirigenti, opposizioni incluse, dovrebbe aiutarla è a non strafare, magari perché si scambiano circostanze favorevoli per propri meriti storici. Il nostro Paese gode in questo momento di una condizione interessante: il suo sistema economico ha molti punti deboli, ma ne ha anche molti forti e non sfigura nel panorama europeo; la sua posizione, con un governo conservatore, ma non, almeno nella sua guida, reazionario, gli consente una buona azione diplomatica, nonostante le numerose invidie che lo boicottano; ha un sistema amministrativo non poco ammaccato, ma che riesce a tirare fuori nei momenti complicati capacità maggiori di quelle attese.

Non si vede perché non puntare ad una stabilizzazione evolutiva delle nostre potenzialità, il che significa senz’altro mettere seriamente mano alle molte deficienze accumulate, ma con l’avvertenza di stare attenti a mantenere tutto in equilibrio. Non andrebbe a vantaggio di una parte politica e sociale, ma del sistema e di tutto il nostro popolo.

vitaTrentina

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